lunedì 24 giugno 2013

Avvocato Nicola Ricciardi - Rapporto tra ingiunzione e atto di accertamento

Nicola Ricciardi scrive sull'ingiunzione fiscale
Come conoscere la relazione esistente tra atti di accertamento e ingiunzione fiscale? Si occupa della questione l'Avvocato Nicola Ricciardi, in un capitolo del libro recentemente ristampato e aggiornato alle più recenti norme stabilite dalla Finanziaria.

Pertanto, ove l’ingiunzione non sia tempestivamente impugnata, tale accertamento non può più essere revocato in discussione con l’opposizione proponibile in seguito alla notificazione della cartella esattoriale, restando la “causa petendi” circoscritta a ipotetici vizi propri di quest’ultima, senza che possa estendersi a quanto era originariamente deducibile e non è stato dedotto, risultando questo assorbito nel giudicato.



L’ingiunzione come visto è atto unilaterale, poiché formato dall’amministrazione senza il contributo d’alcun soggetto e in assenza di contraddittorio. In altri termini, è formato dall’ente nell’esercizio del suo potere d’autoaccertamento e autotutela. Anche in rapporto all’atto di accertamento però, la “duplice natura” rileva (Cass. 7 ottobre 1996, n. 8764) poiché “l’ingiunzione fiscale, qualora non sia conseguenzialmente correlata a una previa attività formale di accertamento, cumula in se stessa la duplice natura e funzione di titolo esecutivo e di atto (equipollente al precetto) prodromico al procedimento di riscossione coattiva, mentre, ove sia preceduta dalla emissione e notificazione di un atto di accertamento o di liquidazione, nei quali – se ed in quanto divenuti definitivi e incontestabili – va identificato il titolo esecutivo, conserva l’efficacia di mero atto riproduttivo destinato a esplicare incidenza soltanto sul piano dell’esigibilità della pretesa tributaria e, come tale, resta suscettibile di impugnazione solo per vizi propri dell’impugnazione stessa e non anche per motivi attinenti a fatti e momenti della vicenda tributaria anteriori alla formazione del titolo esecutivo, deducibili ma non dedotti in sede di impugnazione dell’atto presupposto”.

Il rapporto tra atto di ingiunzione fiscale ed atto di accertamento rileva anche ai fini della notifica poiché l’amministrazione finanziaria non può notificare una ingiunzione fiscale, emessa ai sensi dell’art. 2 e ss. del r.d. n. 639/1910, nei confronti del contribuente, quando il giudice tributario, davanti al quale sia stato portato – dal primo – l’esame del titolo sottostante l’ingiunzione, l’abbia posto nel nulla, quand’anche con sentenza non ancora passata in giudicato, atteso che – al momento della sua notificazione – l’ingiunzione doveva considerarsi priva del titolo sottostante in ragione dell’efficacia del provvedimento giurisdizionale di annullamento di quello amministrativo-tributario (Cass., 2 luglio 2003, n. 10436).

I giudici affermano infatti che “l’ingiunzione fiscale cumula in sé la duplice natura e funzione di titolo esecutivo e di atto prodromico all’inizio dell’esecuzione coattiva”. Di conseguenza “l’ingiunzione notificata dall’ufficio in tanto può produrre effetti nella sfera giuridica dell’intimato in quanto si basa su una pretesa consolidata in base alla legge. Se un giudice tributario ha deciso che l’avviso di accertamento, sottostante all’avviso di liquidazione, a sua volta sottostante all’ingiunzione, non è stato notificato secondo legge, inevitabilmente, anche se la decisione non è ancora passata in giudicato, l’amministrazione non ha alcun diritto a notificare l’ingiunzione per la mancanza della causa (o del titolo) che legittima quella ingiunzione”, di modo che “se dovesse riconoscersi il potere di notificare una ingiunzione in quel momento senza titolo (perché quel titolo posto a base dell’ingiunzione legittimamente è stato posto nel nulla da un giudice), si vanificherebbe il senso della giurisdizione e si riconoscerebbe al provvedimento una forza ed una efficacia superiore a quella della sentenza, il che non può essere”. Sempre ai fini della notifica, si riporta la pronuncia della Suprema Corte del 23 aprile 2003, n. 6448 secondo cui la notificazione dell’ingiunzione di pagamento, che nell’esecuzione speciale disciplinata dal r.d. n. 639/1910 costituisce (anche) il titolo esecutivo, assolve a funzione non diversa da quella della notificazione del titolo esecutivo ex art. 479 c.p.c., sicché la sua mancanza di fatto o inesistenza giuridica determina (in relazione al profilo considerato) la nullità del pignoramento, da denunciarsi con opposizione agli atti esecutivi, nei venti giorni successivi a quello del relativo compimento (l’originario termine di cinque giorni è stato sostituito da quello di venti giorni dal d.l. 14 marzo 2005, n. 35 convertito nella l. 14 maggio 2005, n. 80).

Ugualmente interessante è l’analisi dell’ingiunzione ai fini della definizione della “lite fiscale”; interessa, a tal proposito, la sentenza della Commissione tributaria centrale, sez. VI, 4 giugno 2002 , n. 4739, secondo cui è fatto divieto al contribuente di chiedere la definizione della lite fiscale in applicazione dell’art. 2-quinquies, comma 1, d.l. 564/1994, convertito in legge 656/1994, nell’ipotesi in cui il giudizio sia stato instaurato contro un atto di ingiunzione, emesso ai sensi del r.d. 639/1910, preceduto da un avviso di rettifica IVA, divenuto definitivo per mancata impugnazione. Ciò in quanto per “lite fiscale” deve intendersi “la contestazione relativa a ciascun atto di imposizione o di irrogazione di sanzioni impugnato” (cfr. il citato art. 2-quinquies, comma 4, lett. a)) e l’atto di ingiunzione non è un atto di imposizione, ma di esecuzione dell’imposta definitivamente accertata. Sempre su tale argomento, si veda inoltre la sentenza della Corte di Cassazione civ., sez. V, 22 luglio 2003, n. 11354, che pure afferma che “in tema di definizione agevolata delle controversie tributarie, l’art. 2-quinquies del d.l. 30 settembre 1994, n. 564, convertito in l. 30 novembre 1994, n. 656, che accorda al contribuente la possibilità di determinare l’estinzione delle liti pendenti circa atti impositivi, che non attengono esclusivamente all’irrogazione delle sanzioni, attraverso il pagamento di una somma correlata al valore della lite medesima, richiede l’esistenza di una controversia fiscale, tra contribuente e amministrazione, che sia effettiva e non meramente apparente: che concerna, cioè, l’accertamento dell’esistenza e dell’entità dei presupposti dell’imposizione, e non si limiti al momento della liquidazione dell’imposta in base a criteri predeterminati dalla legge ed attraverso semplici operazioni contabili” (Cass. n. 5105/2001; Cass. n. 2976/2002). Sono stati avanzati dubbi in merito all’applicabilità delle disposizioni sulla lite fiscale anche ai tributi locali; si sostiene infatti che bisognerebbe fare riferimento alle norme sul c.d. “condono fiscale”. Su questo argomento, si veda la “legge finanziaria 2003” che contiene al suo interno una copiosa normativa in tema di “condoni”; tra queste, per quanto qui interessa, si veda l’art. 15 sulla sanatoria delle liti fiscali o pendenti (art. 16) e la norma sulla definizione dei tributi locali.

Tale legge non dispone una vera e propria sanatoria autonomamente e direttamente attuabile da parte dei contribuenti interessati (come, invece, avviene per tutte le altre tipologie di sanatoria), ma si limita a conferire agli Enti locali (regioni, province e comuni) il potere di adottare, ciascuno con specifici provvedimenti, apposite sanatorie relative ai tributi locali “propri”. In sostanza, per qualsiasi tipo di definizione da parte dei contribuenti, è necessaria l’attuazione da parte dell’Ente locale interessato di un eventuale provvedimento di sanatoria ad hoc. All’Ente locale è attribuita un’ampia facoltà nell’individuazione dell’ambito in cui collocare il proprio condono (più o meno oneroso) dal quale evidentemente discende (il minore o maggiore) “appeal” da parte del cittadino/ contribuente ad aderire o meno allo stesso poiché la sanatoria può prevedere la esclusione e/o la riduzione degli interessi, e/o delle sanzioni correlate alla violazione commessa.

La sanatoria dei tributi locali potrà essere attuata esclusivamente nell’ambito dei cosiddetti “tributi propri” degli Enti locali che, ai sensi del comma 3 dell’art. 13 in esame, devono intendersi quelli “la cui titolarità giuridica ed il cui gettito siano integralmente attribuiti ai predetti enti, con esclusione delle compartecipazioni ed addizionali a tributi erariali, nonché delle mere attribuzioni ad enti territoriali del gettito, totale o parziale, di tributi erariali”. In virtù di quanto esposto essendo l’ingiunzione fiscale atto di esecuzione delle imposte locali in quanto detti tributi necessitano di prodromici atti di accertamento le somme di cui alle ingiunzioni non possono essere oggetto di condono in quanto non più oggetto di lite fiscale pendente. Per le posizioni della giurisprudenza, si veda la sentenza n. 16990 del 5 giugno 2003 (dep. il 12 novembre 2003) della Corte di Cassazione, sez. tributaria che “in primis” afferma che la sospensione del giudizio non risulta possibile a seguito di presentazione della “domanda di definizione della lite fiscale pendente a sensi dell’art. 16 della legge 27 dicembre 2002, n. 289”. Ciò perché “il nuovo testo dell’art. 16, comma 3, lettera a), introdotto dal d.l. n. 282 del 24 dicembre 2002, convertito con modificazioni nella l. 21 febbraio 2003, n. 27, contiene la indicazione limitativa secondo cui tale articolo si applica solo alle liti pendenti in cui è parte l’amministrazione finanziaria dello Stato”.

Restano così “scoperte” le liti relative a tributi che non ricadano nell’ambito dell’art. 16 perché nella lite non è parte una amministrazione dello Stato, ed allo stesso tempo non rientrino fra quelli contemplati dall’art. 13. Il terzo comma dell’art. 13 ha infatti cura di precisare che “si intendono tributi propri delle regioni, delle province e dei comuni i tributi la cui titolarità giuridica ed il cui gettito siano integralmente attribuiti ai predetti enti, con esclusione delle compartecipazioni ed addizionali a tributi erariali, nonché delle mere attribuzioni ad enti territoriali del gettito, totale o parziale, di tributi erariali”. Le controversie relative a tali tributi sono definibili soltanto se gli enti impositori ritengano di avvalersi della facoltà loro riconosciuta dall’art. 13 della legge di disciplinare la “definizione dei tributi locali”. Solo a seguito della (eventuale) emanazione dei provvedimenti degli Enti locali e con le modalità ed i limiti in essi stabiliti saranno dunque condonabili le imposte locali. È fatto quindi obbligo al contribuente che della sospensione voglia usufruire di dimostrare che l’Ente locale abbia “emanato un provvedimento con il quale ha reso condonabile l’imposta in parola, stabilendo le relative modalità ed i limiti. Solo in tal caso infatti poteva trovare applicazione la regola della sospensione “ipso iure” delle liti fiscali pendenti introdotta dall’art. 16, comma 6, ed estesa ai giudizi in cassazione dalla legge 21 febbraio 2003, n. 27 di conversione, con modificazioni, del d.l. legge n. 282 del 24 dicembre 2002”.

L’ingiunzione fiscale, al pari della cartella di pagamento, quando faccia seguito ad un avviso di accertamento, si esaurisce in un’intimazione al versamento della somma dovuta in base all’avviso stesso, e non integra – al pari del “ruolo” – un nuovo ed autonomo atto impositivo, tanto che resta sindacabile in giudizio solo per vizi ad essa propri e non per questioni attinenti all’accertamento. Da ciò consegue che non può ritenersi lite fiscale pendente la controversia introdotta con l’impugnazione di una ingiunzione fiscale (Cass. n. 5105/3001; Cass. n. 2976/2002) per cui è priva di fondamento la richiesta di definizione della stessa tramite condono. In materia poi di tributi locali, si veda la sentenza della Corte di Cassazione civ., sez. I, 14 luglio 1988, n. 4597 che preliminarmente afferma che “il sistema impositivo disciplinato dal d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 639, contempla la possibilità di emettere l’ingiunzione (art. 25) subordinandola al previo esperimento della procedura contenziosa (art. 24) o all’inutile trascorrere del termine previsto per il suo esperimento, a sua volta subordinato all’avvenuta notifica dell’avviso di rettifica o di accertamento (art. 23)” e poi continua dicendo che “la mancata notifica dell’avviso di accertamento comporta l’illegittimità dell’ingiunzione emessa” (sentenza 23 novembre 1985, n. 5811). Da notare che quanto disposto dal d.P.R. 639/1972 è stato abrogato dal d.lgs. 15 novembre 1993 n. 507 disciplinante l’imposta comunale sulla pubblicità che però nulla ha innovato; il principio infatti rimane il medesimo in quanto all’art 10 di detto decreto è sempre prevista la necessità della propedeutica emissione dell’atto di accertamento. È indubbio comunque che una tale affermazione è ispirata a un alto principio della civiltà giuridica, non potendosi neppure pensare che una “condanna al pagamento” (tale è, infatti, secondo un’impostazione dottrinale l’ingiunzione fiscale di pagamento del tributo) possa essere emessa prima di avvertire il contribuente delle “nuove e diverse” determinazioni dell’ente impositore e, quindi, di porlo in condizione di esplicare un’attività difensiva, diretta, proprio, a prevenire l’emissione della detta ingiunzione di pagamento.

Occorre, invero, considerare che il citato decreto presidenziale (art. 25) richiama, per ciò che attiene al “procedimento esecutivo”, le disposizioni del r.d. 14 aprile 1910, n. 639 e che l’art. 2 di quest’ultimo decreto stabilisce che “il procedimento di coazione comincia con l’ingiunzione”; e sarebbe palesemente irragionevole, o comunque contrario a un principio di civiltà giuridica, consentire l’instaurazione del procedimento “di coazione”, prima ancora di avere sentito le reazioni del contribuente ... l’ingiunzione deve sempre e necessariamente essere preceduta dalla notifica dell’avviso (esprimente le “nuove o diverse” determinazioni dell’ente impositore), che nel sistema normativo dell’imposta sulla pubblicità, in cui non v’é neppure traccia di una specificazione attinente alla principalità, complementarità o suppletività del tributo, l’istituto della rettifica, oltre a quella tipica, assolve anche alla funzione riparatrice degli “errori” commessi dal contribuente o dallo stesso ufficio (una funzione, cioè, analoga a quella che, ad esempio, nel sistema della legge di registro assolve l’avviso di liquidazione). Ma è comunque indubitabile che, senza la previa notifica di un qualunque avviso, l’ingiunzione di pagamento del tributo non può neppure essere ammessa, essa avendo, nel sistema normativo proprio di questo tributo, solo una funzione esecutiva. Una indiretta riprova di ciò si ha nel fatto che, in concreto, la mancata notifica di tale avviso ha precluso lo svolgimento di quell’iter contenzioso cui prima si è accennato, per cui si è dovuto adire direttamente il giudice ordinario che, in un ipotetico caso normale, non avrebbe potuto essere adito se non si fossero prima esperiti i previsti rimedi amministrativi contro l’avviso di accertamento in rettifica. Tale principio di civiltà giuridica deve ritenersi assimilabile tanto per l’ingiunzione fiscale che per il ruolo. “Costituisce principio consolidato che consente il rigetto in Camera di consiglio ex art. 375 c.p.c. per ricoso dell’amministrazione l’affermazione secondo cui l’omissione della notificazione di un atto presupposto (cartella di pagamento) costituisce vizio procedurale che comporta la nullità dell’atto consequenziale notificato (avviso di mora) e tale nullità può essere fatta valere impugnando tale ultimo atto”. (Corte di Cassazione, sentenza n. 1024 del 26 ottobre 2007; Corte di Cassazione, sezioni unite, sentenza n. 16412 del 25 luglio 2007). Bisogna, come detto, comunque differenziare la materia tributaria erariale ove, come visto, l’ingiunzione assorbe anche la natura di atto di accertamento con la conseguenza che non è necessaria l’emissione di alcun atto propedeutico, da quella dei tributi locali per i quali invece la norma istitutiva dei tributi stessi prevede l’inderogabile necessità di un previo atto di accertamento. Interessante poiché investe i profili sopra trattati, la sentenza della Cassazione del 28 luglio 2005, n. 15617 che a proposito della natura dell’atto di ingiunzione così recita: “l’ingiunzione fiscale cumula in se la duplice natura e funzione di titolo esecutivo, unilateralmente formato dalla pubblica amministrazione nell’esercizio del suo peculiare potere di autoaccertamento e autotutela, e di atto prodromico all’inizio dall’esecuzione coattiva equipollente a quello cha nel processo civile ordinario a l’atto di precetto (da ultimo, Cass., n. 1006 del 2003; n. 8335 del 2003; n. 2894 del 1997; n. 9421 del 2003; n. 6448 dal 2003). L’ingiunzione fiscale, con la quale il comune resistente ebbe a manifestare la sua pretesa creditoria deve, dunque, essere apprezzata come atto di precetto.

Come tale, la sua notificazione, pur non essendo essa, non diversamente dal precetto (per l’affermazione – consolidata nella giurisprudenza della Corte – che il precetto non è atto processuale si veda per tutta Cass., sez. un. , n. 1471 del 1996), atto del processo, era, tuttavia, certamente soggetta alle regole sulla notificazione degli atti giudiziari a mezzo posta di cui alla l. n. 890 del 1982, atteso che tale legge, come emerge dall’art. 1, si riferisce genericamente alla notificazione degli atti in materia civile, amministrativa e penale senza esigere che debba trattarsi di atti processuali e considerato che il precetto è certamente atto giudiziario: all’uopo si ricorda che la citata legge usa l’espressione “atto giudiziario” per identificare il suo ambito di applicazione tanto nella sua intestazione, quanto nell’art. 10 (che ne dispone l’applicazione alle comunicazioni connesse alle notificazioni di atti aventi quella qualificazione) ed in essa possono farsi rientrare oltre agli atti processuali anche gli atti serventi rispetto al processo, per la cui efficacia sia richiesta (com’è per il precetto) la notificazione tramite ufficiale giudiziario”.

In merito alla notificazione, prosegue la Corte, va rilevata “l’esclusione della idoneità dell’ingiunzione a svolgere gli effetti propri del precetto. Non è, infatti, concepibile che l’atto denominato precetto svolga i suoi effetti tipici se la sua notificazione è nulla, in quanto la notificazione condiziona il loro verificarsi. Sotto tale profilo, in conseguenza della nullità della sua notificazione, l’ingiunzione non ha potuto svolgere la funzione di atto interruttivo dalla prescrizione, che tradizionalmente si riferisce alla notificazione del precetto, in particolare riconoscendosi ad esso l’idoneità a svolgere effetti interruttivi istantanei, in quanto si caratterizza piano funzionale, per il suo stesso contenuto, concretatasi nell’intimazione ad adempiere rivolta al debitore, come atto di intimazione di pagamento e, quindi, di costituzione in mora (art. 1219, primo comma, c.c., in relazione all’art. 2943, terzo comma, c.c.). Per l’attribuzione al precetto dell’efficacia di atto interruttivo del corso della prescrizione si vedano: Cass., sez., un., n. 4203, del 2003; ed anche Cass., sez. un., n. 2234 del 1975. Viceversa, senza rifacimento alla natura di precetto dell’ingiunzione fiscale, nel senso della diretta attribuzione ad essa proprio perché atto di costituzione in mora dell’efficacia di atto interruttivo istantaneo della prescrizione si veda Cass. n. 2266 del 1981 (la quale ebbe anche a ricollegare alla proposizione dell’opposizione all’ingiunzione l’effetto interruttivo permanente fino alla cosa giudicata ed a farne discendere che per il caso di estinzione dal giudizio l’effetto istantaneo ricollegato all’ingiunzione permane...) in sostanza, la Corte territoriale ha considerato l’ingiunzione non più come atto giudiziario e, quindi, produttivo di effetti solo in presenza di una notificazione valida, ma come atto di natura sostanziale e, sotto tale profilo, ha ritenuto che si trattasse di una comunicazione postale valida.

Ebbene, quale atto di natura sostanziale, cioè valutata esclusivamente nella sua attitudine a svolgere la funzione di intimazione di pagamento, l’ingiunzione – fermo che non è dubitabile che a livello di requisiti di contenuto e forma non poteva avere la sostanza di intimazione di pagamento – in punto di requisiti di efficacia (cioè sotto il profilo della idoneità a svolgere i suoi effetti tipici quale atto giuridico tradizionalmente ricondotto alla categoria degli atti giuridici in senso stretto) era soggetta alla regola di cui all’art. 1334 c.c., ed a quella correlata di cui all’art. 1335 c.c. e non più alle regole dettate dalla l. n. 890 del 1982 per le notificazioni a mezzo posta ed in particolare a quella dell’art. 8 di detta legge per come emendato dalla citata sentenza della Corte Costituzionale.

Dette norme, com’è noto, stabiliscono rispettivamente che l’efficacia degli atti unilaterali recettivi si verifica al momento in cui pervengono a conoscenza della persona alla quale sono destinati e che, allorquando giungono all’indirizzo del destinatario si reputa siano questi conosciuti, se egli non prova di essere stato, senza sua colpa, nell’impossibilità di averne avuto notizia (c.d. presunzione di conoscenza) ... le conclusioni raggiunte circa la possibilità di apprezzare l’ingiunzione fiscale la cui notificazione sia nulla come idoneo atto interruttivo della prescrizione nonostante la nullità della notificazione – una volta ricordato che l’ingiunzione ha la sostanza di precetto – sono confermate da quanto questa Corte ha affermato in generale a proposito della idoneità del precetto invalidamente notificato a fungere da atto interruttivo della prescrizione. In particolare si è ritenuto che: a) nel caso in cui sia in discussione l’attribuzione al precetto della qualità di atto di costituzione in mora, idoneo, come tale, alla interruzione della prescrizione, l’eventuale irregolarità della sua notificazione è priva di rilevanza, dovendosi accertare, in applicazione dell’art. 1335 c.c., se il predetto, come atto unilaterale recettizio, sia giunto all’indirizzo del destinatario, con la conseguente presunzione di conoscenza da parte di quest’ultimo, ove il medesimo non provi di essere stato, senza sua colpa, nella impossibilità di averne conoscenza (Cass. n. 3404 del 1980); b) il precetto, ancorché non costituisca atto iniziale del processo esecutivo e pertanto non sia idoneo a produrre gli effetti interruttivi permanenti della prescrizione, previsti (dall’art. 2945, secondo comma, c.c.) unicamente per gli atti di cui al primo e al secondo comma dell’art. 2943 c.c., produce però gli effetti interruttivi istantanei contemplati dal primo comma dell’art. 2945 c.c. per i meri atti di costituzione in mora di cui all’ultimo comma dell’art. 2943 c.c.; in tal caso gli effetti interruttivi conseguenti al precetto (la cui eventuale irregolare notifica è, a tal fine, irrilevante essendo sufficiente, a norma dell’art. 1335 c.c., che l’atto sia pervenuto all’indirizzo del destinatario con conseguente presunzione di conoscenza da parte di quest’ultimo, salva prova contraria) sono imputabili al creditore nel cui interesse l’atto sia stato compiuto dal procuratore munito di mandato alle liti (Cass. n. 6165 del 1985, già citata).

Queste decisioni riferiscono l’efficacia interruttiva al precetto invalidamente notificato, ma, una volta escluso che l’atto rivestente i requisiti di forma del precetto sia qualificabile come tale se sia invalida la fattispecie notificatoria cui l’ordinamento condiziona il verificarsi dei suoi effetti, in realtà la riferiscono al relativo atto qualificato come atto sostanziale ex art. 1219 c.c. ... non contrasta in alcun modo con quanto qui ritenuto, del resto, Cass. n. 19512 del 2003, secondo la quale: il creditore dell’amministrazione pubblica, fornito di titolo esecutivo, ha l’onere di notificare il precetto, atto di natura non processuale, direttamente all’ufficio amministrativo debitore, ai sensi degli artt. 480, ultimo comma, e 144 del codice di procedura civile, e non presso l’Avvocatura dello Stato, ex art. 11 del r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611, norma inapplicabile in quanto attinente esclusivamente agli atti giudiziali (né l’invalidità della notificazione può ritenersi sanabile ex art. 156 del codice di procedura civile, concernente soltanto gli atti del processo). Ne consegue, che il precetto notificato presso l’Avvocatura dello Stato, cioè a soggetto diverso dal suo destinatario, deve ritenersi del tutto inefficace in quanto non conoscibile da quest’ultimo e, quindi, inidoneo anche al fine dell’interruzione della prescrizione ex art. 2943 del codice civile. Infatti, in questo caso, l’affermazione dell’essere avvenuta la notifica a soggetto diverso da quello che doveva esserne il destinatario significa che in concreto si è considerato anche il pervenimento a tale soggetto come inidoneo ad integrare quanto richiesto dall’art. 1334 in relazione all’art. 1335 del codice civile. Va semmai ricordato che nella giurisprudenza di questa Corte la possibilità di apprezzare proprio l’ingiunzione invalidamente notificata come idoneo atto interruttivo della prescrizione trovasi riconosciuta in un non recente precedente, anche se essa nel caso di specie la escluse, in quanto si trattava di notificazione invalida ai sensi dell’art. 143 del codice di procedura civile, cioè per definizione presso un luogo che non è in alcun modo considerabile “indirizzo del destinatario” ai sensi dell’art. 1335 del codice civile. Si tratta di Cass. n. 250 del 1978, la quale ebbe a statuire che “al fine dell’interruzione della prescrizione, l’ingiunzione di pagamento, emessa ai sensi dell’art. 2 del r.d. 14 aprile 1910, n. 639 (Testo unico per la riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato), ove invalidamente notificata, per la mancanza della relazione dell’ufficiale notificante in calce all’originale ed alla copia (nella specie, l’avvenuta notificazione risultava solo dal registro cronologico dei messi di conciliazione), può avere il valore di atto di costituzione in mora (art. 2943, comma 4, in relazione all’art. 1219 del codice civile) qualora sia realmente pervenuta all’indirizzo del destinatario, e questi non versasse nell’impossibilita di averne notizia (artt. 1334 e 1335 del codice civile). Al fine indicato, pertanto, deve ritenersi inidonea una notificazione eseguita con le forme di cui all’art. 143 del codice di procedura civile”. La Corte conclude affermando il seguente “principio di diritto: qualora l’ingiunzione fiscale venga notificata invalidamente e la notificazione venga dichiarata invalida, il venire meno della sua idoneità a svolgere la funzione sua propria di precetto in funzione dell’esecuzione minacciata per il caso di mancata opposizione, non esclude che – in dipendenza della sua idoneità a svolgere, sul piano dei requisiti di contenuto e di forma, la funzione di atto di intimazione di pagamento – la circostanza che essa sia comunque pervenuta, nel quadro del procedimento notificatorio del quale si sia accertata l’invalidità, in un luogo considerabile come indirizzo del destinatario, possa essere considerata idonea a determinare l’applicazione delle norme degli artt. 1334 e 1335 del codice civile e, dunque, ad attribuirle l’efficacia di idoneo atto interruttivo della prescrizione, in difetto della prova da parte del destinatario di quanto l’art. 1335 esige per l’inoperatività della presunzione di conoscenza”.

Dall’ordinario atto di precetto però l’ingiunzione in parte diverge relativamente al termine di validità; si è detto infatti che l’atto è “sui generis” e assorbe anche le funzioni dell’atto di precetto. Vi è chi sostiene che oggi l’ingiunzione ritualmente notificata, abbia la validità di un anno a fronte dei novanta giorni degli ordinari atti di precetto per il disposto dell’art. 4 d.l. 24 settembre 2002, n. 209, convertito nella l. 22 novembre 2002, n. 265 che consente infatti al comune o ai concessionari che si avvalgono della procedura dell’ingiunzione fiscale per la riscossione delle proprie entrate, come meglio vedremo in seguito, di utilizzare le norme sul ruolo e sulla cartella di pagamento che varranno in quanto compatibili. Ci si riferisce quindi al titolo II del d.P.R. n. 602/1973 che all’art. 50 stabilisce appunto in un anno il termine di validità della cartella, con la possibilità per il concessionario di procedere poi ad esecuzione forzata decorsi sessanta giorni dalla notificazione dalla cartella stessa; qualora il termine di un anno decorra inutilmente, la procedura espropriativa dovrà essere preceduta dalla notificazione di un avviso contenente l’indicazione ad adempiere entro cinque giorni. Tale ulteriore avviso infine perde efficacia decorsi centottanta giorni dalla notifica. Va comunque rilevato che vi sono ancora opinioni che sostengono che il termine di validità dell’ingiunzione è quello previsto dall’art. 481 c.p.c. con la conseguenza che la stessa divenga inefficace se entro 90 giorni dalla sua notifica non venga intrapresa la procedura esecutiva con la possibilità di poterla comunque reiterare. Si rileva, alla luce della legge finanziaria 2007 che ha previsto i termini entro i quali deve essere notificata l’ingiunzione dal momento in cui è divenuto definitivo l’atto di accertamento (3 anni), che la questione ha oggi minor incidenza pratica. Infatti qualora non si sia intrapresa l’azione esecutiva entro 90 giorni nel caso si ritengano applicabili le disposizioni del r.d. n. 639/1910 o un anno nel caso si applichino le disposizioni del d.P.R. 602/1973 sarà sempre possibile nel termine previsto dalla legge finanziaria 2007 poter reiterare l’ingiunzione. 3.5 Reiterazione dell’ingiunzione Di sicuro interesse poiché ha rilevanti implicazioni pratiche è il tema della reiterazione dell’atto d’ingiunzione; è questo uno strumento molto efficace a disposizione dell’ente creditore per la riscossione delle proprie entrate ed è bene quindi porvi particolare attenzione. È necessario, prima di tutto, chiarire i termini del problema.

Non può parlarsi di reiterazione allorquando si emette un nuovo atto di ingiunzione che però diverga per qualche motivo dal precedente; si pensi ad un nuovo atto emanato al fine di correggerne uno precedente, con o senza riferimento a questo, di cui l’Ente abbia avuto “notizia” su denuncia del contribuente o più semplicemente a seguito di mera attività interna di controllo dei provvedimenti precedentemente emanati, nell’esercizio del suo potere di autotutela. Si pensi, a mero titolo esemplificativo, ad un nuovo atto emanato per chiedere la corresponsione degli interessi precedentemente non effettuata, al fine quindi di “ampliare” la pretesa creditoria. Sulla reiterazione dell’attività di notificazione, si veda la sentenza della Cass. civ., sez. I, 3 aprile 1997, n. 2894 secondo cui qualora l’inattività dell’amministrazione nel procedere agli atti esecutivi si protragga fino alla scadenza del termine stabilito nell’art. 481 c.p.c., l’ingiunzione perde efficacia relativamente e limitatamente alla sua equivalenza al precetto (onde, ai fini dell’inizio dell’esecuzione, si rende necessaria una reiterazione della notificazione della stessa), ma non viene meno in essa la valenza del titolo esecutivo, in cui è irrevocabilmente consacrato l’accertamento del credito dell’amministrazione. Pertanto, ove l’ingiunzione non sia tempestivamente impugnata, tale accertamento non può più essere revocato in discussione con l’opposizione proponibile in seguito alla eventuale ulteriore notificazione, restando la “causa pretendi” circoscritta a ipotetici vizi propri di quest’ultima, senza che possa estendersi a quanto era originariamente deducibile e non è stato dedotto, risultando questo assorbito nel giudicato. La reiterazione consiste esclusivamente nella riproposizione, in tempi differenti, del medesimo atto.

Non vi è quindi reiterazione allorquando si emettano contemporaneamente più atti identici; l’emissione contemporanea può verificarsi per l’esigenza di iniziare allo stesso tempo più procedure esecutive, siano esse mobiliari che immobiliari che presso terzi, dello stesso tipo o differenti, senza però subordinare una procedura all’esito di altra che potrebbe rivelarsi infruttuosa. Nella pratica però, diffi-
cilmente si intraprendono più procedure contemporaneamente poiché gli enti iniziano “in primis” la procedura mobiliare e solo dopo quella immobiliare o presso terzi. L’esigenza di reiterazione invece può essere dovuta non solo alla necessità di iniziare diverse procedure esecutive ma anche all’opportunità di interrompere il termine di prescrizione di un diritto di credito qualora il precedente effetto “interruttivo” stia per cessare i propri effetti o a quella di riprendere la procedura esecutiva divenuta inefficace. La possibilità di reiterare gli atti di ingiunzione non è però pacificamente ammessa; se a tale reiterazione nulla si eccepisce nell’ipotesi in cui avverso il primo atto non sia stato proposto ricorso o presentata opposizione, dubbi sorgono nell’ipotesi in cui i debitori muovano tale opposizione.

A sostegno dell’inammissibilità di tale reiterazione si richiama talvolta la natura di atto amministrativo dell’ingiunzione che come tale non andrebbe ripetuto; altre volte si fa invece riferimento a motivi di “equità” poiché la reiterazione comporta per il debitore un accrescimento di spese legali (in questo caso però si dimentica che le spese saranno a carico dell’Ente impositore nell’ipotesi in cui questo risulti soccombente). Qui non si vedono motivi per escludere l’applicabilità della reiterazione al procedimento di ingiunzione, anche alla luce delle principali norme del codice di procedura civile (art. 481 c.p.c. “Cessazione dell’efficacia del precetto”; art. 483 c.p.c. “Cumulo dei mezzi di espropriazione”) in materia. Sull’applicabilità delle disposizioni in esame all’ingiunzione fiscale, si veda anche la sentenza della Corte di Cassazione, sez. civ., dell’8 agosto1997, n. 7384 secondo cui l’ingiunzione fiscale pur cumulando in sé le caratteristiche del titolo esecutivo e del precetto non per questo può essere scissa e distinta in un titolo esecutivo e in un atto di precetto ciascuno regolato dalle norme del codice di rito che lo riguardano. Di conseguenza, all’ingiunzione può essere applicato l’art. 481 c.p.c sulla cessazione di efficacia del precetto per il decorso del termine di 90 giorni dalla notifica, senza che sia stata iniziata l’esecuzione; a ciò consegue che l’ingiunzione fiscale, una volta notificata al contribuente e non tempestivamente impugnata, determina l’incontestabilità dell’accertamento tributario, senza perdere il valore di titolo esecutivo, ancorché sia venuta meno l’efficacia del precetto per
decorrenza del termine di cui all’art. 481 c.p.c. Ciò ove l’amministrazione finanziaria notifichi un’altra ingiunzione riproduttiva della prima, l’opposizione proposta contro la nuova ingiunzione – che equivale alla rinnovata notificazione del precetto – non può più porre in discussione il titolo originario, in base al quale si procede all’esecuzione. Dall’esame di tali disposizioni infatti emerge come il legislatore non ponga ostacoli all’esercizio contemporaneo di più procedure esecutive nel procedimento esecutivo ordinario e non si vedono motivi per escludere tale evenienza anche con riferimento agli atti di ingiunzione, pur con i dovuti adattamenti dovuti alla particolare natura del procedimento “de quo”. In merito, si veda quanto dice la Cassazione, sez. I, sent. 13 febbraio 1980, n. 1046 che sostiene che, essendo l’ingiunzione un atto che cumula in sé le caratteristiche del titolo esecutivo e del precetto, e che non può mai acquistare efficacia di giudicato, la stessa ingiunzione può sempre essere rinnovata dall’amministrazione, anche nelle more del giudizio di opposizione all’ingiunzione precedente. Sulla possibilità di reiterare l’ingiunzione anche in pendenza del giudizio di opposizione ad una precedente ingiunzione, è interessante la sentenza della Cassazione, sez. I, 7 maggio 1981, n. 2965. In questa pronuncia, la Corte sostiene che l’ingiunzione fiscale, quale manifestazione del potere di autoaccertamento ed autotutela della pubblica amministrazione in materia tributaria, ha natura giuridica di atto amministrativo, che cumula in sé le caratteristiche del titolo esecutivo e del precetto ed è insuscettibile di acquistare efficacia di giudicato. Attesa tale natura dell’ingiunzione fiscale e dell’ordine di pagamento in essa contenuto, deve ritenersi che, anche in pendenza del giudizio di opposizione ad una precedente ingiunzione, questa può essere legittimamente rinnovata dall’amministrazione sino a che il credito d’imposta non sia stato integralmente soddisfatto e, quindi, per il conseguimento della pretesa nella sua parte residuale o nella misura accresciutasi per il maturare degli interessi. L’ente creditore, continuano i giudici, può avere interesse, ai fini della riscossione di un credito, sia ad emettere più ingiunzioni identiche, sia a reiterare in tempi successivi la stessa ingiunzione. La reiterazione di una ingiunzione può discendere, oltreché dalla volontà di iniziare un’altra procedura esecutiva, pendente la prima, anche dall’opportunità di interrompere la prescrizione di un credito, oppure di riattivare la procedura esecutiva a seguito della sopravvenuta inefficacia dell’ingiunzione per decorso del termine di 90 giorni. (Cfr. Cass. 2894/1997).

La Corte di Cassazione con sentenza n. 7384/1997 ha inoltre affermato che “ove l’amministrazione provveda a notificare altra ingiunzione riproduttiva della prima, l’opposizione proposta contro la nuova ingiunzione, la quale equivale a rinnovata notificazione del precetto, non può più porre in discussione il titolo originario per il quale si procede all’esecuzione”. Vi è infine un’eccezione a tale regola generale; vi è cioè un caso in cui è difficile ammettere la possibilità di reiterazione di più atti di ingiunzione. La fattispecie però non investe il profilo “cognitivo” sin qui trattato ma bensì quello “esecutivo”; è l’ipotesi in cui vi sia stata sospensione di “diritto” dell’efficacia esecutiva dell’ingiunzione a seguito di opposizione o di provvedimento del giudice. In questo caso, la reiterazione avrebbe come effetto quello di eliminare la sospensione privando il debitore dei benefici propri di tale provvedimento ed obbligandolo anche a proporre nuova opposizione. Ebbene, proprio l’effetto elusivo del provvedimento di sospensione dell’efficacia esecutiva dell’ingiunzione che in tal caso verrebbe ad avere il provvedimento di reiterazione porta a negare che esso possa essere emanato in tale ipotesi; non si vuole cioè ammettere che un atto amministrativo la cui esecuzione sia stata sospesa possa essere poi riproposto con eguale contenuto.

Termini per la riscossione delle entrate tributarie 

Problema diverso ma a questo connesso è quello più generale della durata dei termini per la riscossione delle entrate tributarie; infatti, in un ordinamento giuridico evoluto il contribuente non può vedersi esposto alle pretese del fisco senza alcun limite temporale. La Consulta (sent. n. 280/2005) ha ribadito questo principio ed ha comportato un intervento del legislatore (l. 31 luglio 2005, n. 156, art. 1, commi 5-bis e ss.) prevista per la riscossione a mezzo ruolo, e che si applica alla procedura di riscossione a mezzo ingiunzione per analogia, poiché non è possibile prevedere principi differenti e termini diversi a seconda che si utilizzi una procedura piuttosto che l’altra (contra: Comm. Trib. prov.le Cagliari del 7 giugno 2006, n. 145). Non mancavano comunque opinioni contrarie secondo cui l’ingiunzione avrebbe avuto termini decadenziali decennali oppure quinquennali ex art. 2948 c.c. sia per la riscossione di entrate patrimoniali che tributarie (Cass. sez. I, 11 marzo 1996, n. 1965; Cass. sez. I, 8 agosto 1997, n. 7386). Il legislatore è intervenuto recentemente in merito ai termini per l’accertamento e la riscossione dei tributi locali. Con l’art. 1, comma 161 della l. 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007) ha fissato termini certi per gli Enti locali uguali per tutti i tributi che debbono procedere “alla rettifica delle dichiarazioni incomplete o infedeli o dei parziali o ritardati versamenti, nonché all’accertamento d’ufficio delle omesse dichiarazioni o degli omessi versamenti, notificando al contribuente, anche a mezzo posta con raccomandata con avviso di ricevimento, un apposito avviso motivato. Gli avvisi di accertamento in rettifica e d’ufficio devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione o il versamento sono stati o avrebbero dovuto essere effettuati. Entro gli stessi termini devono essere contestate o irrogate le sanzioni amministrative tributarie, a norma degli articoli 16 e 17 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472”. Per la riscossione coattiva, colmando così una lacuna legislativa, con l’art. 1, comma 163 della l. 296/2006 (legge finanziaria 2007) si stabilisce che la cartella di pagamento e l’ingiunzione fiscale debbano essere notificate entro il termine perentorio del 31 dicembre del terzo anno successivo a quello in cui l’avviso di accertamento è divenuto definitivo.

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